Il dato che segna la rottura tra la realtà delle cose come sono adesso e il sistema di produzione dominante è che quella del capitale non è la forma più adeguata da assegnare all’essere. La creazione di valori d’uso, presa in quanto tale, non coincide necessariamente con la creazione di merci. Il fatto risulta ancor più chiaro quando si tratta di prodotti della così chiamata industria culturale. Soprattutto quando si pensa che alzare il prezzo della merce sia un buon modo per tornare a posto coi conti e rilanciare la produzione. Errato. Un prodotto culturale non si lascia costringere dentro rigidi schemi strumentali, quantitativi, fatti di solo calcolo e profitto. Perché la cultura necessita di una buona dose di qualità non riconducibili a numeri, tempi omogenei e vuoti, accumulazione di denari. Si badi che non è un discorso volto a celebrare la spiritualità delle arti e dell’ideale dell’espressione culturale. Non è affatto niente di tutto ciò. Il dato, si diceva, è del tutto materiale. La cultura a regime capitalista non significa che il capitale sia la condizione perfetta sotto cui produrla.
Cultura e capitale
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